Tutte le cicatrici possono diventare oro: l’arte del Kintsugi nella vita di tutti i giorni
Le esperienze dolorose, quelle più difficili e traumatiche, sono le esperienze che cerchiamo sempre di evitare…chi vuole stare male e soffrire alzi la mano!?
Tuttavia, queste esperienze sono anche le più importanti, sono quelle che ci segnano nel profondo, che lasciano delle cicatrici, che ci cambiano e che possono anche renderci più forti; sono esperienze da accettare, anche se questo spesso è difficile.
È importante accettare gli eventi dolorosi, così come le situazioni negative o tutto quello che viene visto come doloroso, difficile, brutto, fragile, diverso o imperfetto.
È importante riconoscere il valore che queste esperienze ci possono dare… solo così le ferite si potranno rimarginare, e le cicatrici che rimarranno potranno diventare oro.
Quando dico che tutte le cicatrici possono diventare oro intendo dire che se noi siamo in grado di accettare all’interno del nostro percorso di vita un evento traumatico o un’esperienza dolorosa, se sappiamo farne tesoro e trarne degli insegnamenti, allora saremo in grado di “ricostruirci” e crescere come persone, valorizzando le cicatrici che rimangono, che sono preziose (e uniche) per la persona che diventeremo.
Non tutte le cose belle e luccicanti sono oro e hanno valore, ma tutte le situazioni più cupe e dolorose, tutte le ferite possono diventare potenzialmente preziose, se noi sappiamo valorizzarle, trarne un insegnamento e crescere.
Naturalmente è un processo che richiede tempo, proprio come l’antica arte giapponese del “Kintsugi”, che attraverso un lungo processo, ripara e valorizza gli oggetti rotti, mettendo in mostra le crepe dell’oggetto (piuttosto che nasconderle), saldando i frammenti con dell’oro.
In questo modo gli oggetti non solo vengono riparati, ma diventano unici e preziosi.
Questa antica arte giapponese ci insegna, quindi, a mostrare le nostre ferite e le nostre fragilità, piuttosto che nasconderle e cercare ad ogni costo di tornare ad essere quelli di prima oppure uguali a tutti gli altri; a dare dignità e il giusto valore, agli eventi traumatici e alle nostre fragilità. Queste “cicatrici” entrano a far parte del nostro bagaglio di vita, e contribuiscono a renderci diversi, unici,e a farci crescere come persone.
Ci insegna anche che dopo ogni “rottura” è sempre possibile rimettere insieme i pezzi, ma che ci vuole tempo, un tempo per rimettere insieme i cocci, un tempo per rielaborare l’esperienza traumatica, un tempo per accettare, un tempo per ricostruirsi e rimettersi in carreggiata.
Ogni evento critico, ogni momento di svolta, traumatico o difficile, comporta sempre una “rottura”, una disorganizzazione psicologica. Ed è proprio partendo da questa disorganizzazione, da questa “rottura”, che è possibile riorganizzare i “pezzi” della propria vita, rimettersi in carreggiata e continuare il proprio percorso di crescita.
Forse bisognerebbe praticare più spesso il “Kintsugi” nella vita di tutti giorni, non solo come arte di riparare gli oggetti, ma come stile di vita, che non rinnega le fragilità, le differenze e le imperfezioni, e come modalità di far fronte alle situazioni più difficili che si presentano lungo il nostro cammino.